Rimanenze di magazzino in chiusura attività: autofattura, distruzione o vendita?

Gestisci un’attività commerciale? Scopri come puoi disfarti delle merci che non sei riuscito a vendere e che, per forza, di cosa ti trovi ancora all’interno del tuo magazzino al momento della chiusura della tua attività.

Ma perché succede questo? Anche tu, che sei titolare di un’attività commerciale, indipendentemente dal fatto che sia di piccole, medie o grandi dimensioni, dovendo gestire il magazzino, ogni anno ti trovi a fare l’inventario che non sempre coincide con quello contabile.

Se non lo gestisci in modo corretto il magazzino, porterà ad un disallineamento tra l’inventario del fisco e quello contabile, che dovrai in qualche modo giustificare.

Il problema maggiore sorge, però, quando la merce rimane ma non può essere rivenduta nell’ esercizio successivo, poiché l’attività cessa di esistere. Quindi l’unica cosa da fare è liberarsi di queste rimanenze.

Nel presente articolo andremo a vedere cosa sono queste rimanenze e le modalità da seguire per disfarsi senza avere alcuna conseguenza a livello legale.

Cosa sono le rimanenze di magazzino?

Indice degli argomenti:

Tutti i prodotti che sono acquistati e non venduti e rimangono “dentro”, vengono definiti rimanenze di magazzino.

Le rimanenze di magazzino rappresentano costi per l’azienda che li ha sostenuti, ma solo nell’ esercizio successivo possono rappresentare un ricavo per l’azienda. Infatti, sulla base del principio di competenza devono essere rinviati all’esercizio successivo. Ciò, ovviamente, se non si decide di disfarsi dei beni in maniera alternativa.

Cosa che non succede nel momento in cui l’attività cessa. Quindi devi assolutamente liberarti di queste rimanenze.

Le rimanenze di magazzino possono essere suddivisi per categorie di beni, quali:

  • materie prime, ovvero tutti quei materiali che vengono utilizzati per produrre un prodotto finito da destinare alle vendite;
  • materie sussidiarie, ovvero materiali utilizzato per il completamento di un determinato prodotto finito;
  • materiale di consumo, ovvero tutti quei materiali che vengono utilizzati indirettamente durante la produzione;
  • merci, ovvero tutti quei beni che, senza subire ulteriori lavorazioni, sono destinati alla rivendita;
  • prodotti in corso di lavorazione, ovvero prodotti che ancora non concluso il loro ciclo di produzione, quindi non hanno ancora un’identità definita per poter essere messi sul mercato;
  • semilavorati, ovvero prodotti che ancora hanno un determinata identità anche se ancora non hanno terminato il proprio ciclo di lavorazione;
  • prodotti finiti, ovvero tutti quei prodotti che, avendo terminato il ciclo di lavorazione sono destinati ad essere immessi sul mercato;
  • lavori in corso su ordinazione, ovvero complesso di forniture di beni che sono stati eseguiti su ordinazione che hanno una durata superiore ad un anno, quindi non ancora terminate durante l’esercizio.

Come liberarsi delle rimanenze di magazzino

Quando cessa l’attività e per varie causa che non stiamo qua ad elencare, rimane della merce invenduta in magazzino sorge il problema di come liberarsi di tali rimanenze. Le ipotesi al vaglio, nel caso di specie, sono 2:

  • vendita a terzi;
  • autoconsumo mediante autofattura.

In questo caso, la cosa che maggiormente preme a chi chiude un’attività è dimostrare che si è liberato di queste rimanenze.

Nel caso in cui le rimanenze di magazzino vengono eliminate mediante una vendita a terzi abbiamo una vera cessione di beni. In questo caso è necessario che tutto venga documentato mediante l’emissione di una fattura di vendita quindi soggetta ad IVA e alle altre imposte.

Nel caso la cessione viene fatta a titolo gratuito viene prevista l’esenzione dell’IVA a determinate condizioni. Infatti sono esenti da IVA quando effettuate a titolo gratuito a favore di enti pubblici, ONLUS, fondazioni e associazioni riconosciute” che operano solo ed esclusivamente ai fini assistenziali. Se questo non avviene, allora la cessione non sarà più a titolo gratuito, bensì soggetta ad IVA, IRPEF o IRES.

Per essere considerata esente IVA occorre:

  • comunicare all’AdE l’ente beneficiario, la data, l’ora e  il luogo dove si verificherà la cessione a titolo gratuito, il luogo di destinazione e il valore complessivo dei beni ceduti al costo storico;
  • il DDT (Documento di Trasporto) per la consegna;
  • una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, sottoscritta dal legale rappresentante dell’ente, dove si attesta l’avvenuta cessione indicando la qualità e la quantità dei beni.

La via alternativa potrebbe essere l’autoconsumo da parte dell’imprenditore. Tale operazione è configurabile come cessione soggette ad IVA e deve essere comprovata mediante autofattura.

Come distruggere i beni di valore inferiore a 10.000 Euro?

Discorso diverso può essere invece fatto per tutti quei beni che non sono rivendibili e sono deperibili. In questo caso si procede alla distruzione.

Fino al 2012, il limite massimo che consentiva la distruzione dei beni mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio era fissata a 5.164,57 Euro. Dal 2012, con il Decreto sviluppo tale soglia è passata a 10.000 Euro.

Ricordiamo per chi non lo sapesse che, la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è altro che una dichiarazione, dal carattere autocertificativo, sottoscritta dai cittadini al fine di comprovare dei fatti nei confronti dell’interessato. Tale atto permette ai cittadini di poter curare i rapporti con la PA o con determinati enti. In questo caso con l’Agenzia delle Entrate.

La legge prevede, qualora non si voglia optare per la cessione dei beni, due modalità operativa per liberarsi di questi beni rimasti in magazzino:

  • la distruzione dei beni;
  • la trasformazione di beni di altro tipo e di valore economico più modesto.

Il bene non può essere distrutto o trasformato banalmente, ma la distruzione deve essere provata:

  • da una comunicazione;
  • attraverso la redazione di un verbale;
  • attraverso la redazione del documento di trasporto.

Innanzitutto diciamo che la comunicazione deve precisare:

  • il luogo dove avviene la distruzione;
  • la data e l’ora della distruzione;
  • le modalità utilizzate per la distruzione;
  • la natura dei beni;
  • l’ammontare complessivo dei beni;
  • il potenziale valore ottenibile dalla distruzione.

Questa comunicazione deve essere inviata, almeno 5 giorni prima dal giorno in cui si è deciso di procedere alla distruzione, all’Amministrazione finanziaria e al Comando della Guardia di Finanza.

Se hai deciso di distruggere un bene il 30 aprile, devi inviare tale comunicazione almeno entro il 24 dello stesso.

Fatto questo devi poi procedere alla compilazione del verbale di distruzione. Quest’ultimo viene predisposto dai funzionari pubblici, da notai o da ufficiali delle fiamme gialle o Guardia di Finanza, i quali erano presenti durante la distruzione o trasformazione dei beni, qualora il valore complessivo dei beni distrutti o trasformati superi la soglia dei 10.000 Euro.

Basta semplicemente, invece, come dicevamo, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, qualora l’ammontare dei beni distrutti o trasformati non superi la soglia dei 10.000 Euro.

Tale limite fa riferimento alla singola operazione di distruzione. Pertanto, se nell’arco di un anno hai da distruggere più beni, tale soglia può essere superata.

Alla luce di tutto ciò, è bene precisare che, i beni distrutti o trasformati che hanno un valore complessivo sotto i 10.000 Euro, come dicevamo, non necessitano di una comunicazione da fare all’Amministrazione Finanziaria o al Comando della Guardia di Finanza.

Tuttavia, però, siccome l’Agenzia delle Entrate in merito a ciò non si è mai pronunciata o, quantomeno, non ha preso una posizione netta, per evitare conseguenze spiacevoli, consigliamo sempre, anche per la distruzione dei beni cui valore complessivo non supera i 10.000 Euro, di procedere, in via cautelativa, alla comunicazione all’Agenzia delle Entrate ed alla Guardia di Finanza.

E i documenti generati per la distruzione delle rimanenze dove vanno a finire?

I documenti predisposti per poter portare avanti la procedura devono poi essere consegnati al Commercialista che avrà il compito di contabilizzarli e giustificare che si è disfatti di questi beni mediante cessione oppure mediante distruzione volontaria, oppure nel caso più grave in caso di perdita dei beni per eventi esterni e calamitosi.

Attraverso questa prova documentale è possibile procede alla cancellazione del valore dei beni che non esistono più all’interno dell’azienda in seguito ad una delle procedure precedentemente adottate. Vengono considerati ai fini dichiarativi ma non ai fini IVA

Cosa succede se non si adotta una delle predette procedure?

Qualora decidi di disfarti delle rimanenze non adottando una delle procedure, ovviamente comporta la mancata applicazione della legge e, ovviamente, ci sarà una presunzione di illecito, perché sostanzialmente hai ceduto i beni in nero e conseguentemente:

  • hai evaso le imposte
  • e hai rideterminato il reddito imponibile.

Salvo che, non riesci a dimostrare in maniera trasparente il motivo per il quale questa merce non è più presente in azienda.

Fac-simili modelli da presentare in caso di distruzione di merce


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