Un convivente di fatto che presta abitualmente la propria attività ed opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente ha diritto al riconoscimento ed alla maturazione dei redditi ed utili da lavoro? Si tratta di un quesito molto interessante che apre una diatriba piuttosto complessa dal punto di vista del diritto della famiglia e del riconoscimento dal punto di vista legislativo del proprio status di convivente equiparato a quello di coniuge.
A fare chiarezza sulla complessità in materia di diritto familiare, fiscale e societario, la Risoluzione 134/E pubblicata dall’Agenzia delle Entrate in data 26 ottobre fornisce interessanti dettagli e delucidazioni ad una questione così annosa ed attuale sollevata da un quesito posto da un convivente che presta la propria opera all’interno dell’impresa del convivente.
Impresa familiare: disciplina codicistica
Indice degli argomenti:
Piuttosto nebulosa e variegata è la disciplina della impresa familiare contenuta all’articolo 230 Bis del Codice civile, il quale recita: “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato [36 Cost]. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo.
Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado; gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell’azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice […]”.
Agenzia delle Entrate: trattamento fiscale partecipazione utili convivente
Il quesito posto con l’istanza di interpello concerne il corretto trattamento fiscale della partecipazione degli utili che l’istante intenderebbe imputare alla convivente di fatto che presta la propria opera all’interno dell’azienda familiare.
La legge 20 maggio 2016, n. 76 in materia di “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e ha disciplinato il regime delle convivenze di fatto.
La Legge Cirinnà ha apprestato forme di tutela differenti tra le parti dell’unione civile ed i conviventi, estendendo solo alle prime “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti”.
La Legge Cirinnà è intervenuta sulla stessa disciplina dell’impresa familiare estendendo alle unioni civili la disciplina contenuta nel Codice civile dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del c.c.
Tale norma riconosce “Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente…il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato”.
Il diritto di partecipazione non spetti “qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato”; si tratta di una scelta attuata dal Legislatore il quale vuole mantenere su posizioni differenti la collaborazione del convivente rispetto a quella del familiare.
Impresa familiare: regime tributario TUIR
Il regime tributario dell’impresa familiare è regolato dal comma 4 dell’articolo 5 del TUIR, recante la disciplina fiscale dei redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile. La citata norma stabilisce che tali redditi siano imputati, “limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore…a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
L’imputazione proporzionale non può superare complessivamente il 49% dell’ammontare del reddito risultante dalla dichiarazione annuale dell’imprenditore.
Agenzia delle Entrate nel formulare un parere, nel rispondere all’istanza dell’imprenditore, ritiene che “il reddito spettante alla convivente di fatto …, derivante dalla partecipazione agli utili dell’impresa del convivente sia a lei imputabile in proporzione alla sua quota di partecipazione”.